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Il coronavirus ed io: una storia non proprio d’amore

coronavirus

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Ho dei piani per questo mio soggiorno europeo. Piani flessibili, fatti per essere cambiati; piani grandiosi, fatti per essere ridimensionati; piani pazzi e assurdi, fatti per riderci sopra e sognare.

Nei miei piani ci sono anche periodi a Vallecrosia, la ridente cittadina della Riviera Ligure in cui sono nata e cresciuta. Negli ultimi anni sono tornata spesso e ho cominciato a vedere Vallecrosia con occhi adulti, ad apprezzare la tranquillità delle giornate, le passeggiate sul lungomare, i tramonti e i bagni fuori stagione. Ogni soggiorno è stato interrotto da brevi viaggi in altre città e arricchito da visite di amici italiani e stranieri. La fine è sempre dietro l’angolo e questa natura temporanea rende ogni visita preziosa.

Anche per questo mese di marzo avevo i miei piani, non troppo stravaganti ma fatti di treni e incontri, abbracci e musei, mostre e chiacchiere al bar.

Ma in tutti i piani che si rispettino bisogna tener conto dei fuori programma e in questo caso il coronavirus è arrivato a buttare una secchiata d’aqua gelata sui miei ardenti spiriti e ad interferire con tutto questo pianificare. Quelle cose che ho sempre dato per scontato ad ogni visita, nel giro di pochi giorni si sono trasformati in sogni impossibili.

Il coronavirus si è insinuato nelle nostre vite con prepotenza, imponendo le sue regole e impedendoci di continuare a vivere a modo nostro. Il coronavirus è sulla bocca di tutti, fa onore al suo nome, una presenza regale, sempre al centro dell’attenzione. Il coronavirus mi fa tornare indietro nel tempo, quando da ragazzina sognavo di fuggire da Vallecrosia e mi sembrava quasi impossibile.

In realtà ho ancora il lusso della scelta e potrei tornare in Australia dove, per il momento, c’è ancora libertà di movimento ed è la mia altra parte di casa. Ma dopo il senso di claustrofobia iniziale ora mi sento stranamente leggera e sento di essere dalla parte giusta.

Nei miei anni di vita dall’altra parte del mondo la mia famiglia d’origine e il mio Paese hanno affrontato  piccole e grandi crisi, momenti di panico, malattie e morti, paure e ansie e io ho sempre osservato da lontano. Ho fatto del mio meglio per essere presente, ascoltando dall’altra parte del filo, prima, e dello schermo, dopo e mi sono sentita spesso protetta dalla distanza. Essere distante mi ha dato l’opportunità di mantenere una certa prospettiva che forse non sarei riuscita a mantenere se fossi stata nel centro del ciclone.

Questa volta vivo la crisi dall’interno e noto in me un equilibrio che pensavo fosse solo frutto della distanza.

A costo di sembrare ingenua e semplicistica mi sembra che il coronavirus mi abbia offerto l’occasione di scoprire una parte di me che non conoscevo, quella di donna equilibrata che riesce a mantenere la calma in un momento di crisi. Che dire, una bella sorpresa!

Essere bloccata a Vallecrosia mi permette innanzi tutto di essere vicina alla parte più vulnerabile della mia famiglia, i miei genitori e di poter offrire loro il supporto emotivo che li aiuta a non lasciarsi abbattere. Essere bloccata a Vallecrosia mi aiuta a coltivare la pazienza, una qualità tanto importante quanto sfuggente, che negli anni non sono riuscita a far maturare un granché. Essere bloccata a Vallecrosia mi insegna a gestire l’incertezza, a rivedere i miei valori e ricordare l’importanza del cambiamento.

Non ho nessun controllo sulla direzione che il coronavirus deciderà di prendere, ma con consapevolezza e un briciolo di leggerezza posso controllare la direzione dei miei pensieri e delle mie emozioni, anche restando bloccata a Vallecrosia 🙂

 

 

 

 

 

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