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Di appartenenza, crescita e Bruce Springsteen

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Il 21 giugno del 1985 mi sono svegliata con il mal di pancia.

Non sono ipocondriaca a tal punto da aver memorizzato tutti i dolori dei miei ultimi quarant’anni e in genere sono terribile con le date. Ma in questo caso ho una prova ineluttabile, un biglietto inutilizzato per il concerto di Bruce Springsteen, concerto storico a Milano che, a causa di quel mal di pancia, mi sono persa.

Ma se la mia memoria con le date fa spesso cilecca, è invece sempre molto preparata e attenta quando si tratta delle emozioni e i turbamenti di quegli anni, a cavallo tra l’essere bambina e il diventare donna. Ricordo bene la fastidiosa sensazione di non appartenere, il dolore nel sentirmi esclusa e distante dai miei coetanei, il desiderio di muovermi, cambiare, crescere ma l’incapacità di farlo.

Come per molti ragazzi della mia generazione, Bruce Springsteen era un idolo. Traducevo avidamente, e con grande fatica, le sue canzoni che parlavano di realtà lontane ma famigliari; di giovani annoiati in cittadine di provincia; di amicizie intense e amori travagliati; di vagabondi nati per correre, proprio come me. Quello che non capivo, immaginavo, intuivo, inventavo, lasciandomi trasportare dalla musica e dalla sua voce profonda.

Inutile dire che ricordo la delusione di quel giorno.

Erano mesi che aspettavo, l’ebbrezza di vedere Bruce dal vivo, di essere a pochi metri da lui, di respirare la stessa aria. Ahhhh…il romanticismo dei vent’anni! Ma c’era anche un nervosismo, un’agitazione, un senso di inadeguatezza che mi trovavo a provare sempre più frequentemente in quel periodo. Con la consapevolezza di  oggi, non posso che chiedermi se quel mal di pancia acuto ed improvviso, non fosse un boicottaggio del mio corpo per impedire che mi esponessi ad una situazione che mi metteva a disagio.

Quel concerto mancato rappresenta per me il distacco.

Dopo una giornata passata a casa con le “coliche” (questa fu la sommaria diagnosi della mia afflizione!) ebbi tempo di riflettere e presi la decisione che dovevo cambiare.

Cambiare amici, cambiare attitudine, cambiare cammino.

In questi anni ho smesso di ascoltarlo assiduamente e di seguire ogni suo passo, ma le sue canzoni hanno sempre il potere di risvegliare emozioni e ricordi e mi è tornato il desiderio di andare a vedere un suo concerto, di essere a pochi metri da lui, di respirare la stessa aria…

Sono passati 32 anni e ieri sono andata al concerto di Bruce Springsteen, ho ballato con Dancing in the dark e pianto ascoltando The River; ma soprattutto ho sorriso, circondata da un’energia positiva rara e preziosa. Nigel era scettico, ma sento che anche lui non e’ immune al fascino del Boss. 

Mi guardo intorno, guardo le teste grigie di quelli che, come me, sono cresciuti ascoltando queste canzoni, nelle loro cittadine di provincia dall’altra parte del mondo.

Nel giugno del ’85 sentivo di non appartenere da nessuna parte, ero turbata da quello che avevo davanti, spaventata del presente ma non abbastanza forte per cambiare la mia direzione. Ma sta sera, quando Bruce grida: “We are a land of immigrants“, sento di appartenere al mondo!

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