Cerchi asilo? Non in Australia!
Maggio 9, 2016
Il nostro matrimonio inventato
Giugno 5, 2016
Show all

Sharing is caring!

Sarà forse la mia mia educazione cattolica ma il senso di colpa è la prima cosa che ho messo in valigia quando ho preso la decisione di vivere all’estero.

Inizialmente era solo una sensazione fastidiosa, facile da ignorare e nascondere dietro una serie di eventi ed esperienze nuovi ed eccitanti.

Ma all’improvviso ecco l’inevitabile ed allarmante domanda: che genere di figlia abbandona i genitori, la famiglia?

Seguita dall’inesorabile e lancinante dolore della risposta: una figlia insensibile ed egoista.

Ma la scelta di vivere dall’altra parte del mondo, fa davvero di me una cattiva figlia?

I miei genitori, involontariamente, hanno avuto la loro parte nell’incoraggiare lo sviluppo di questo pensiero. Immagino non fosse loro intenzione rendermi la vita difficile, ma dal loro punto di vista, sia culturale che generazionale, il dovere di una figlia è di essere fisicamente presente in caso di bisogno, più o meno grave.

Negli anni ci sono stati commenti sporadici e senza malizia di amici rimasti a casa: “Io non andrei mai via, ho una responsabilità, non potrei mai…“, benché non fossero rivolti a me, mi colpivano come frecce ed andavano ad alimentare il disagio che provavo, mentre il senso di colpa cresceva.

Nonostante fossi sicura dell’affetto e dell’amore che provavo per i miei genitori e la mia famiglia, ho passato anni a chiedermi se il mio comportamento rispecchiasse i miei sentimenti o se il lasciare l’Italia potesse significare un certo menefreghismo, un’indifferenza verso ciò che è davvero importante.

Perché i sensi di colpa sono insidiosi.

Riescono ad intaccare le nostre certezze, rendendoci esitanti e vulnerabili; sono risoluti e non si arrendono facilmente, se riusciamo a scacciarli trovano sempre il modo di tornare all’attacco; non discriminano ed accolgono tutti a braccia aperte e prosperano nell’insicurezza e nel dubbio.

Ho dovuto lavorare parecchio ma sono finalmente giunta alla conclusione che ci sono molti modi per dimostrare amore, rispetto e riconoscenza verso i genitori e vivere nello stesso paese non è necessariamente uno di questi.

Se guardo agli anni passati in espatrio mi rendo conto di quanto sia sempre stato importante per me essere presente nella vita delle persone care ed è questa presenza, anche se a distanza, che secondo me va a nutrire le relazioni.

Visite regolari (anche se spesso una settimana al mare poteva sembrare più invitate di 30 ore in aereo con due bambine piccole!), telefonate e lettere d’altri tempi e poi finalmente l’arrivo di Skype, a rendere tutto più facile.

Ho passato questo importante valore alle miei figlie, che sono cresciute parlando italiano e non hanno mai sofferto per la distanza fisica da nonni e famiglia lontani, ma hanno mantenuto un intimo rapporto con tutti.

Questa consapevolezza mi ha aiutata a cambiare atteggiamento, ad accettare il fatto che vivere dall’altra parte del mondo non fa di me una cattiva figlia e a liberarmi una buona volta dei sensi di colpa, permettendomi di vivere una vita più leggera. Non ho mai abbandonato la mia famiglia, i miei genitori, sono presente nella loro vita in molti modi e sono certa che, nel bisogno, sarò con loro in anima e corpo.

Concludo con una frase da Illusioni di Richard Bach, un libro letto da ragazzina che mi è rimasto nel cuore e che, secondo me, è un ottimo antidoto contro i sensi di colpa:

“Può una distanza materiale separarci davvero dagli amici, se desideri essere vicino a qualcuno che ami non ci sei forse già?”

 

2 Comments

  1. Anna ha detto:

    Bellissimo post, su cui sono capitata per caso, ma che significa tanto per me.

    Sono ormai 3 anni che ho lasciato l’Italia e la mia famiglia, e questi sensi di colpa iniziano a farsi sentire. Specialmente con la prospettiva di non voler tornare in Italia, l’unica cosa a cui riesco a pensare è il fatto che ho abbandonato la mia famiglia. Mi fa piacere sapere che prima o poi i sensi di colpa diminuiscono 🙂

    • BarbaraA. ha detto:

      Grazie della visita, Anna. Sono contenta che tu abbia trovato utile la mia riflessione sui sensi di colpa, il tormento numero uno degli espatriati 😉

      Secondo me tutto sta nel cambiare la nostra prospettiva, cosa vuol dire “abbandonare la famiglia”? Sono in tanti a vivere nello stesso paese e non avere una relazione di amore e rispetto con la propria famiglia, nello stesso modo penso che si possa essere presenti nella vita delle persone che amiamo anche vivendo dall’altra parte del mondo. E, nel bisogno, si molla tutto e si parte 🙂

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza i cookie. Continuando a navigare sul sito, accetti l'utilizzo dei cookie Maggiori informazioni

The cookie settings on this website are set to "allow cookies" to give you the best browsing experience possible. If you continue to use this website without changing your cookie settings or you click "Accept" below then you are consenting to this.

Close